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Addio agli stipendi in contanti

Il contante tende ormai a sparire dalle tasche degli italiani. Anche in virtù della spinta del legislatore, sempre più favorevole all'utilizzo di mezzi di pagamento tracciabile. Questa spinta riguarda anche gli stipendi: le regole introdotte a proposito dei trasferimenti in contanti (possibili non oltre 999,99 euro) sono destinate a ridurre ancora di più l'area per il pagamento in contanti ai dipendenti. Attuali regole Le attuali regole emergono dalla combinazione di due leggi. La prescrizione originaria, che obbliga all'uso del contante, è stata inserita nel nostro ordinamento dall'articolo 49 del decreto legislativo 231/07 ma con una soglia più alta, pari a 12.500 euro. Successivamente, una serie di modifiche ne ha progressivamente ridotto il limite, sino ad arrivare agli attuali 1.000 euro voluti dal decreto salva Italia (Dl 201/11). Che si tratti di una norma che coinvolge tutti, è indubbio. Basta leggerla per comprenderlo: «è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore dell'operazione, anche frazionata, è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro». La notevole diminuzione del limite ha riflessi anche sul pagamento di molte retribuzioni del settore privato, compresi, per esempio, alcuni rapporti di lavoro domestico (si pensi alle badanti) o alcune micro-imprese ancora legate all'utilizzo dei liquidi. Modalità di pagamento L'obbligo dell'uso di strumenti diversi dalle banconote, ripropone la questione legata alle modalità di pagamento della retribuzione. In genere, il pagamento del corrispettivo erogato a fronte del lavoro svolto (che può essere subordinato o parasubordinato) segue le regole stabilite dall'articolo 1277 del Codice civile. Trattandosi, infatti, di un debito pecuniario, lo stesso si estingue «con moneta legale avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale». Il tenore letterale di questa disposizione ha sempre indotto gli operatori a ritenere che non potesse essere imposto al dipendente di accettare il pagamento con mezzi diversi dal denaro, ma che tale condizione dovesse essere condivisa dal lavoratore. Per questo motivo, spesso si realizzavano convenzioni tendenti a riconoscere al dipendente che apriva un conto bancario con l'accredito dello stipendio, condizioni di miglior favore che lo inducessero a operare tale scelta. Adesso che lo strumento alternativo al denaro "frusciante" diviene la regola, per i cedolini paga il cui netto supera 1.000 euro, al datore di lavoro non resta altra scelta se non quella di disporre un bonifico bancario oppure consegnare al lavoratore un assegno (di conto corrente o circolare). Né, tantomeno, si può ricorrere alla divisione della retribuzione in diverse quote (acconti e saldo), singolarmente non superiori a 1.000 euro.

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