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Dichiarazione fraudolenta

Nel caso si ipotizzino illeciti fiscali, è illegittimo il sequestro probatorio di provviste di denaro riconducibili all’indagato, se non c’è prova che si tratti di corpo di reato o di cosa a esso pertinente. E’ quanto si evince dalla sentenza numero 15513/12 della Corte di Cassazione, pubblicata ieri, 23 aprile. La Guardia di Finanza disponeva il sequestro probatorio di alcuni assegni circolari e di una cospicua somma di danaro (nella specie, euro 18.700,00), in occasione della perquisizione dei locali nella disponibilità di un uomo indagato per il reato di dichiarazione fraudolenta. Ebbene, il P.M., prima, e il Tribunale di Napoli, poi, respingevano la domanda dell’indagato di restituzione dei beni oggetto di sequestro, tanto che l’uomo decideva di rivolgersi al giudice di vertice. Con il ricorso di legittimità, la difesa dell’indagato sollevava numerose eccezioni, sostenendo, tra l’altro, che: - la p.g. era stata delegata a ricercare la sola documentazione utile a ricostruire la contabilità per l’anno 2007. Dal che l’estraneità alle indagini degli assegni sequestrati, poiché emessi nel 2010; - in ogni caso, tali assegni erano destinati a operazioni commerciali assolutamente lecite e non rientranti tra le cose pertinenti al reato ipotizzato; - quanto alla somma di denaro, trattandosi di cose fungibili, non era consentito il sequestro probatorio. Investita della questione, la Terza Sezione Penale ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, limitatamente al sequestro probatorio della somma di denaro, della quale è stata disposta la restituzione all’avente diritto. Gli Ermellini, nel caso di specie, hanno escluso la presenza di elementi che potessero far ritenere che le somme de quo costituissero corpo del reato ovvero cosa ad esso pertinente. “Come ha ricordato anche il ricorrente – si legge in sentenza – secondo la giurisprudenza di questa Corte, una somma di denaro può essere considerata corpo del reato ai sensi dell’articolo 253 del codice penale, solo ove sia proprio quella acquisita attraverso l’attività criminosa. Più specificamente si è ritenuto che le provviste di denaro esistenti su conti correnti non costituiscono corpo di reato ai sensi dell'art.253 cod. proc. pen., in relazione agli illeciti fiscali ipotizzati (nella specie omessa annotazione di corrispettivi ai fini IVA ed emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti), sicché il sequestro di esse è illegittimo; tali provviste, infatti, non possono essere considerate provento del reato, cioè il quantum di imposta versata all’erario. Sotto il profilo, poi, delle esigenze probatorie si è, comunque, escluso che una somma di denaro, pur qualificata come corpo del reato […] possa essere sottoposta a sequestro probatorio in quanto la prova del reato non discende dalla res sequestrata, ma dagli atti di indagine circa il suo rinvenimento”.

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